‘Gunda’: il mondo visto attraverso lo sguardo incredibile di un maiale

Traduzione di questo articolo. Grazie a Sarat per averlo condiviso.

Questo sorprendente documentario offre uno sguardo intimo alla vita di una scrofa, dei suoi turbolenti maialini, di un pollo con una zampa sola e di una mandria di mucche.

Di Manohla Dargis, 10 dicembre 2020

Cosa vedono i registi quando guardano gli animali? Non molto, a quanto pare: per la maggior parte, gli animali nei film sono uno sfondo suggestivo: un gatto solitario alla finestra, un cavallo in un prato intravisto da un’auto. A volte sono simboli, come i tanti coniglietti sacrificati dal cinema (‘La regola del gioco’ et al.). Altre volte, gli animali vengono scelti come compagni elettivi, e molti cani hanno interpretato questo ruolo sullo schermo. Eppure, anche in film come ‘Old Yeller’ e ‘Best in Show’, gli animali sono solitamente al servizio della storia umana, dei nostri sentimenti e delle nostre lacrime.

Il sorprendente documentario “Gunda” offre un altro modo di guardare gli animali. Sublimemente bello e profondamente commovente, offre l’opportunità di osservare – gli animali, sì, ma anche qualità spesso subordinate nei film guidati dalla narrazione: trame leggere,  forme e luce. La storia è apparentemente semplice: per la maggior parte dei 93 minuti, il film si concentra su una scrofa e sui suoi maialini. Per un breve lasso di tempo razzoliamo con le galline, incluso un uccello con una gamba sola straordinariamente agile. In un altro, le mucche galoppano in un campo nebbioso per pascolare, un intermezzo da sogno pastorale che nei romanzi e nei dipinti di paesaggi richiama altre rappresentazioni, ma è in realtà visivamente stupendo di per sé.

“Gunda” è il progetto appassionato del regista russo Victor Kossakovsky (“Aquarela”), che voleva realizzarlo da anni. (Finanziare film è sempre difficile; finanziare documentari come questo è eroico.) Il suo approccio è semplice ma ingegnoso. Girando in digitale e in bianco e nero, senza musica, voce fuori campo o testo sullo schermo – e neppure persone – apre una finestra intima sulla vita degli animali. La sua star, per così dire, è Gunda, una prodigiosa scrofa di età incerta che, all’apertura del film, ha appena dato alla luce una cucciolata di una dozzina di maialini. Sebbene abbia un’etichetta fissata all’orecchio, l’ampio recinto suggerisce che non si trovino in un allevamento intensivo: che sollievo.

Kossakovsky ha trovato Gunda in una fattoria norvegese non lontano da Oslo, in quello che ha definito il primo giorno di casting. A quel punto, lui e il suo team hanno costruito una replica del suo recinto in modo da girare le scene all’interno rimanendone fuori. Come si può immaginare questo escamotage gli ha consentito di cogliere il punto di vista intimo senza, presumibilmente, disturbare troppo gli animali. (Kossakovsky ha affermato di aver usato una palla da discoteca fissa – mai inquadrata, ahimè – per illuminare l’interno.) Sono state montate anche delle rotaie per effettuare le riprese in esterna, in modo da poter seguire Gunda e la sua cucciolata mentre legano tra loro, giocano, vagano e prendono il sole all’aperto.

I risultati sono affascinanti. Il film si apre con Gunda che si distende (il passatempo preferito) su un letto di fieno, il suo corpo all’interno del recinto e la sua testa incorniciata sulla soglia. È il paradiso dei maiali. Kossakovsky – che ha condiviso il lavoro con Egil Haskjold Larsen – tiene fissa l’inquadratura abbastanza a lungo da permetterci di ammirarne i dettagli precisi e la simmetria compositiva. E poi: azione! Di fronte alla telecamera, un maialino delle dimensioni di una delle orecchie di Gunda si arrampica sopra la sua testa tra mille stridii e scivola sul fieno all’esterno. E poi, mentre la mamma grugnisce ritmicamente, un altro maialino, e poi un altro, scalano la sua testa enorme e rotolano nel mondo.

Non sembra succedere molto altro, oltre a strilli e adorabilità. Eppure la sobrietà della scena è ingannevole, il che può dirsi per l’intero film. I neonati di qualsiasi specie tendono ad essere deliziosi, e i maialini – nella loro piccolezza e affascinante goffaggine – occupano naturalmente il centro della scena. Le loro dimensioni minute attraggono, e allo stesso tempo mettono ansia. Sono così piccoli, e la loro mamma è tanto, tanto grande. Kossakovsky non sta raccontando una storia ovvia, ma sta comunicando oceani di significato da un punto di vista cinematografico, e usa le immagini per creare associazioni a cascata, a partire dai maialini che emergono dalla porta oscura, un’eco visiva della nascita stessa.

Condividiamo una parte della vita di Gunda e dei suoi maialini, momenti di dramma silenzioso, giochi felici e tensione da mangiarsi le unghie. Kossakovsky ha girato il film per diversi mesi, quindi i maialini diventano sempre più grandi, anche se mai – e non a caso, come si scoprirà più avanti – molto grandi. Nelle scene dei maiali, e anche in quelle dei polli che razzolano, Kossakovsky tiene per lo più la telecamera alla loro altezza, piuttosto che osservarli dall’alto in basso. Mentre Gunda solca la terra con il muso, ti accorgi di quanto sia diverso il mondo, persino il terreno, dal punto di vista peculiare di questi esseri. Queste immagini sono la testimonianza che vedere, vedere davvero, attraverso gli occhi degli altri, a quattro zampe o meno, significa essere davvero umani.

Kossakovsky non esprime giudizi, ma ‘Gunda’ ci ricorda che la resistenza a mostrare animali nella maggior parte dei film riflette la realtà del fatto che non li guardiamo più, per prendere in prestito un pensiero del critico John Berger. Svela anche la nostra riluttanza a riconoscere l’abuso a cui sottoponiamo le altre creature e, per estensione, il mondo naturale. Ad esempio, è incredibilmente facile mangiare carne; nel mondo sviluppato, richiede poca riflessione, sforzo o denaro. È più difficile, e sicuramente più scomodo, pensare alla violenza insita nella sua produzione, ivi compresa la devastazione ambientale. Tagliati ormai fuori dal mondo naturale, classifichiamo gli animali in gran parte come animali domestici o carne.

Nel commovente e profetico saggio del 1977 ‘Perché guardiamo gli animali?’, Berger prende in considerazione i tragici costi della presunta marcia dell’umanità verso il progresso, e l’allontanamento dal mondo naturale. ‘Supporre che gli animali siano entrati per la prima volta nell’immaginario umano come carne o cuoio o corna significa proiettare un atteggiamento del XIX secolo all’indietro attraverso i millenni’, scrive Berger. ‘Gli animali sono entrati nella nostra immaginazione per la prima volta come messaggeri e promesse.’

Gli animali erano nostri compagni nelle caverne. Li abbiamo guardati negli occhi e loro hanno guardato noi. Col passare del tempo, abbiamo operato nei confronti degli animali – e della natura stessa – una rimozione enorme. Abbiamo smesso di guardarli. Tuttavia, come ci ricorda Kossakovsky anche se ci risparmia l’orrore del mattatoio, dobbiamo guardare gli animali negli occhi per affrontare con onestà quello che gli abbiamo fatto.

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