Creare la rivoluzione: intervista ad Aph Ko

Intervista originale qui. 

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La genesi di questa intervista è lunga e tortuosa. Comincia qualche anno fa, quando un’amica racconta a me e a mia moglie di questa straordinaria studente vegana che si chiama Syl. Qualche anno dopo, Syl è diventata una cara amica e sua sorella Aph pubblica un articolo sul perché i diritti animali sono una questione femminista.

Piccoli tunnel spazio temporali come questi si aprono continuamente nel cyberspazio, e scoprire dove conducano è non solo interessante ma anche importante per il proprio percorso. Da scrittore e mediattivista, sono affascinato e al tempo stesso turbato da quanto ha luogo nel mondo virtuale. Dopo aver letto l’articolo di Aph e aver visto la prima stagione della webserie Black Feminist Blogger, sono sceso nella tana del Bianconiglio.

Aph possiede il dono di una voce critica articolata e cristallina, e la sua prospettiva sull’interconnessione delle oppressioni e sui movimenti che la contrastano nell’ambito dell’attivismo è notevole per intelligenza e precisione. Le ho posto queste domande per conoscere meglio il suo lavoro e alcune delle conclusioni che ha tratto dal tempo che ha passato nella blogosfera.

Puoi parlarci di come sei diventata vegan? Quando è successo, e quali fattori hanno influenzato la tua decisione di smettere di prendere parte allo sfruttamento degli animali?

Sono diventata vegetariana a 16 o 17 anni, al liceo, dopo che alcuni amici mi hanno mostrato degli opuscoli della PETA (allora non sapevo ancora delle loro campagne sessiste!). Ho poi lavorato in un ristorante vegano a Irvine, in California, il Veggie Grill (era il primo in assoluto; ora è una catena di successo). Però allora non sentivo una particolare connessione ideologica con il veganismo, non lo prendevo sul serio. È stata mia sorella Syl a farmi comprendere il veganismo come concetto politico, quando avevo 20 anni. Mi regalò il libro Sistah Vegan e leggendolo compresi immediatamente il collegamento tra razzismo, sessismo e specismo e la cosa mi appassionò da subito (sono ancora ossessionata da A. Breeze Harper!)

Per un po’ è stato difficile per me essere coerente con la dieta vegana, nonostante avessi colto la questione politica che quest’ultima sottendeva, perché ero dipendente dai corpi animali come beni di consumo da tantissimo tempo. Mi resi conto che decostruire le narrazioni relative alle abitudini alimentari è difficilissimo, ma allo stesso tempo possibile e necessario.

La tua serie Black Feminist Blogger è il racconto esilarante e allo stesso tempo inquietante della realtà affrontata da una scrittrice femminista nera nella blogosfera. Sono curioso di sapere quello che pensi dello stato attuale della critica femminista nel cyberspazio e nella società in generale. Ad esempio, mi ha colpito il personaggio dell’editrice immaginaria, Marie, in particolare quando afferma “Ho eliminato le parole razzismo e supremazia bianca, sono troppo problematiche… in questa rivista vogliamo parlare dei problemi delle donne”. Pensi che sia possibile ottenere cambiamenti reali (in termini di rivoluzione culturale e di connessione delle lotte) sulle questioni femministe più importanti grazie al web? Quali sono i vantaggi e gli svantaggi che derivano dal coinvolgimento nel mediattivismo?

Che bella domanda! Sì, penso che si stiano facendo progressi attraverso il mediattivismo. Quest’ultimo consente a molte persone appartenenti alle minoranze oppresse di accedere a piattaforme alle quali non avrebbero probabilmente accesso, se non fosse per Internet. E, cosa ancora più importante, ci consente di connetterci tra noi. Inoltre, proprio in rete ho imparato molto sui movimenti di giustizia sociale. Perciò da una parte direi che sì, il web ha portato sicuramente ad alcuni progressi, perché Internet offre uno spazio unico di organizzazione e costruzione del movimento. D’altra parte però non credo che Internet di per sé basti a portare avanti le questioni politiche. Black Feminist Blogger mostra come il blogging sia un business, mi sono basata su alcune delle mie esperienze reali di blogging full-time. Poiché alcune persone fanno soldi con i siti Web (il che non è sempre un male, soprattutto quando ti dedichi a questioni importanti e interessanti), si vive sotto la pressione costante a pubblicare velocemente e rigurgitare gli stessi argomenti popolari più e più volte per ottenere clic. È per questo che puoi leggere 300.000 articoli su Iggy Azalea e della cellulite che ha sul culo… e se la sua accettazione della cellulite sia o meno una posizione femminista… ma chi se ne frega!

In effetti, attraverso il lavoro di scrittura freelance vedi il lato commerciale del blogging. Ho scritto per siti femministi che assoldano un gran numero di scrittrici pagate ad articolo. In realtà, alcuni di questi siti di successo inviano ogni settimana via mail alle loro scrittrici freelance spunti di argomenti popolari tra cui scegliere. A volte, devi scegliere un argomento dal loro elenco perché sanno che otterranno un maggior numero di clic sulla pagina (e i clic si traducono in denaro). Per questo motivo, l’attenzione si focalizza sulla PRODUZIONE di articoli, non necessariamente sulla scrittura di testi dai contenuti innovativi e necessari. Ho anche lavorato per siti che arruolano in particolare scrittrici di altri paesi perché le pagano meno.

È la parte peggiore del mondo online. La corporativizzazione del femminismo online sta silenziando le voci femministe radicali e indipendenti, che non possono competere con loro o con siti che guadagnano migliaia di dollari (alcune scrittrici femministe hanno persino agenti!). Per questo alcuni siti femministi hanno il monopolio del pensiero femminista, e questo mi fa davvero rabbia. Alla fine sai già che quegli stessi spazi femministi affronteranno continuamente gli stessi argomenti popolari, non perché aggiungano qualcosa di inedito alla conversazione, ma perché DEVONO scriverne per essere di tendenza, e questo alla fine è mero giornalismo. Penso che Internet aiuti le persone a diventare imprenditor* e giornalist* capaci, ma non necessariamente attivist* migliori. Si confonde l’attivismo con la capacità di promuovere se stess* e la propria scrittura.

In quanto femminista nera, quali sono i problemi principali che vorresti ricevessero più attenzione di quanto accade al momento? Quali problemi hai dovuto affrontare per portare alla ribalta certe tematiche invece delle narrazioni costruite dai media mainstream?

In generale, credo che attualmente ci troviamo di fronte una gigantesca falla a livello teorico. La maggior parte delle discussioni che hanno luogo nei canali mainstream si appropriano delle questioni critiche e le distillano. Non è possibile parlare di donne e sessualità in modo inedito per colpa dello SGUARDO MASCHILE e della CULTURA DELLO STUPRO. Le donne di colore, sia quelle con la pelle chiara che con la pelle scura, non possono parlare insieme per colpa del COLORISMO. Vengono pubblicati di continuo articoli sulle donne famose che “celebrano” le proprie curve, o che non hanno paura di mostrarsi senza trucco, ed ecco che i discorsi sono diventati inconsistenti. Sono stufa di quanto la maggior parte dei discorsi siano ormai acritici e noiosi. Le discussioni nei canali mainstream sono sempre “sicure” e igienizzate. Abbiamo bisogno di una nuova cornice entro la quale inquadrare i problemi, perché attualmente questi discorsi non servono a niente e l’unico risultato sono queste narrazioni sciatte, poco interessanti e prevedibili che non hanno alcun effetto.

Prima di tutto dovremmo smetterla di concentrarci così tanto sulle persone famose. La nostra cultura ha una fissazione malata con quello che fanno le celebrità. Forse il femminismo è stato sgradevole e scomodo  per così tanto tempo che ora cerchiamo di riabilitarlo rendendolo gradevole, e per fare questo lo stiamo distillando, schiaffando l’etichetta di femminista su qualsiasi celebrità che denuncia l’uso di Photoshop. L’enorme attenzione data alle persone famose nel femminismo deriva dal fatto che il femminismo online si sta trasformando in giornalismo di bassa lega. A causa di questa svolta giornalistica del femminismo, sempre più femministe “riportano” avvenimenti culturali e a partire da ciò fanno le proprie analisi.

Come femminista nera, vorrei parlare di più dei diritti animali e di veganismo all’interno degli ambiti femministi senza che questi ultimi vengano considerati un argomento separato. I movimenti per la giustizia sociale sono tremendamente compartimentati, sebbene la parola più alla moda della nostra generazione sia “intersezionalità”. Mi piacerebbe anche che le femministe si concentrassero maggiormente sui media digitali indipendenti, la musica indipendente, l’arte, ecc. Adoro la sensazione genuina degli spazi indipendenti e penso che questi luoghi sgangherati abbiano molte potenzialità. L’atto di creare è rivoluzionario, quindi dovremmo iniziare a parlarne un po’ di più. In generale sono convinta che abbiamo bisogno di nuove teorie capaci di tracciare il mutato panorama politico, razziale e sessuale di oggi.

In un recente articolo per Everyday Feminism spieghi perché i diritti animali sono una questione femminista. Secondo te, perché è ancora necessario affrontare questo argomento negli ambiti femministi (cosa si nasconde dietro alla disconnessione tra femministe e altri animali)?

Attualmente molti movimenti per la giustizia sociale prosperano utilizzando parole d’ordine e mantra vuoti, piuttosto che attraverso l’azione autentica. Per questo motivo, è più in voga imparare la lingua del movimento in modo da “apparire” in grado di comprenderlo, piuttosto che agire nella pratica. Quando si comprendono davvero le motivazioni alla base della politica cambia il modo di vivere, non solo le frasi che portiamo scritte sulle magliette.

Alcune persone gridano #blacklivesmatter per via dell’omicidio di Mike Brown, ma non sanno il nome di un autore nero, un filosofo nero, un prodotto multimediale indipendente nero, un artista nero, ecc. È uno slogan vuoto. Ironia della sorte, ci sono femministe che gridano “il personale è politico” ma non si rendono conto che il cibo che consumano è il prodotto di un sistema di oppressione gigantesco.

L’intersezionalità oggi si rivela un fiasco in molti ambienti perché resta collegata a una prassi inesistente. L’incapacità di alcune femministe di lottare per i diritti animali dimostra quanto siano radicate in noi gerarchie oppressive e problematiche, anche nella psiche dei soggetti oppressi. Alcune persone oppresse hanno difficoltà ad ammettere di essere agenti oppressivi di altri soggetti. Sfortunatamente, capita sovente che i gruppi oppressi siano incapaci di comprendere di non essere gli unici corpi ad essere oppressi, e qualsiasi stimolo a rivolgere l’attenzione su altri oppressi viene immediatamente accolto con rabbia e frustrazione. Questa reazione è la dimostrazione della mia affermazione che le persone non capiscono davvero l’intersezionalità… o forse non ci hanno riflettuto sopra abbastanza.

Penso anche che per come è strutturato lo spazio online, in cui chiunque può aprire il proprio blog e scrivere quello che gli pare, tutt* si sentono espert* di femminismo. Molte persone criticano, poche sono inclini a imparare (anche io quando ho iniziato a bloggare ero una stronza testarda). Come ho affermato in un’intervista al Daily Beast, le persone amano criticare e sollevare problemi, ma non vogliono riflettere davvero sulle questioni perché questo potrebbe implicare un reale cambiamento, e poiché la nostra cultura prospera sulla “comodità”, “cambiamento” resta semplicemente la parola colorata su un poster di John Lennon appeso al muro, non la politica che costituisce il fondamento della tua vita.

Insieme al PERCHÉ, puoi parlare del COME? In che modo il femminismo può prendere più seriamente l’oppressione degli altri animali, creando una strategia globale e intersezionale per combattere l’oppressione?

Ironia della sorte, abbiamo già una teoria che sostiene i diritti animali e il veganismo, dobbiamo solo metterla in pratica. Tutte le femministe sanno cos’è “l’intersezionalità” ma devono essere in grado di applicarla a corpi il cui aspetto differisce dai propri. Si tratta solo di farlo. Sovente, nei movimenti di giustizia sociale, feticizziamo l’attivismo o pensiamo che si tratti di far cambiare le altre persone. Invece devi partire da te. Le femministe in generale hanno ormai ben chiaro che il corpo è un’entità politica, quindi non ci sono più  scuse.

Viviamo in una cultura in cui tutt* parlano di “body positivity”, ma le femministe sono disposte a parlare del proprio corpo fintantoché l’argomento trattato è una narrazione superficiale sul concetto di bellezza; quando invece si tratta di modificare la propria dieta per tenere conto dei corpi degli animali, sorgono mille problemi, saltano fuori frasi come “alcune persone non possono diventare vegane perché vivono in povertà o per motivi culturali”; e quando rispondo “Alcune persone non hanno la possibilità di diventare vegane… ma tu ce l’hai!”, scende il silenzio (per inciso, sono consapevole che non tutte le comunità hanno la possibilità di diventare vegan. Tuttavia, parlo principalmente delle migliaia di persone che possono diventare vegane, ma non lo fanno).

In seguito alla pubblicazione del mio articolo sui diritti animali su Everyday Feminism, tantissime femministe si sono incazzate con me e mi hanno inviato messaggi davvero cattivi, dicendomi che ero ridicola o che non ero una vera femminista perché le vite degli animali non sono importanti quanto quelle delle donne. Alcune erano così ostili che ho riletto il mio articolo più volte, per capire cosa avessi detto di così terribile. Non avevo idea che i diritti animali fossero un argomento tanto controverso nel contesto femminista. L’idea, mai messa in discussione, che i corpi animali “valgano meno” si basa sugli stessi sistemi gerarchici che le femministe combattono per ottenere i propri diritti. È la sintesi di quanto sia ironico tutto questo e, sebbene frustrante, un ottimo spunto per un’altra webserie! Questa risposta negativa rivela quanto siano maldestri e poco efficaci alcuni tentativi del femminismo di ottenere la “liberazione”.

Per essere un attivista devi AGIRE. È una lotta (anche con se stess*). Certo, rinunciare alla carne e al formaggio può sembrare la fine del mondo, ma quella sensazione di fatica personale è necessaria per il movimento. Tutt* sanno che gli animali vengono torturati e massacrati, ma molte persone non riescono a rinunciare alla carne perché “ha un buon sapore”; Quanto credi nella giustizia sociale se le tue papille gustative sono più importanti della vita di un altro essere?

L’attivismo non è comodo, e i movimenti per la giustizia sociale devono essere permeati da una maggiore empatia. Non ti senti ridicol* ad aspettarti che i gruppi dominanti comprendano la tua condizione oppressa, quando hai la carne di un altro essere incastrata tra i denti?!

Rivolgendo l’attenzione al veganismo e ai diritti degli animali, quali sono secondo te i fallimenti più evidenti del movimento nel tentativo di raggiungere individui non bianchi e non benestanti? Quali passi concreti devono essere fatti per rendere il veganismo più inclusivo, sia in termini di narrazione che di sensibilizzazione e sostegno?

La retorica dell’inclusività ci pone di fronte un problema fondamentale. Molte persone (me compresa) sostengono che la retorica della diversità e dell’inclusività serva a sostenere e rafforzare la supremazia bianca.

La tua domanda presuppone che non ci siano già persone di colore nel movimento e ci tengo a farti notare che, così posta, esclude le persone non bianche dal movimento a livello di narrazione. Di quale “movimento per i diritti animali” stai parlando? La tua domanda naturalizza la bianchezza come norma, ragion per cui la trovo problematica! Presumo che tu ti riferisca alle organizzazioni per i diritti animali prevalentemente costituite da bianchi, quelle la cui “bianchezza” è implicita, anche se raramente viene menzionata. Usando il termine ambiguo “movimento per i diritti animali” come se fosse incentrato sulla bianchezza, stai cancellando (e questo è ironico!) i non bianchi e il nostro attivismo, ma risponderò comunque alla domanda che penso tu volessi pormi.

Non mi sembra che il movimento bianco per i diritti animali bianchi abbia fallito nell’includere le persone non bianche perché ciò presupporrebbe che in primo luogo si prefiggesse di accoglierle, cosa che non ha fatto. Non vedo la mia esclusione dal movimento come accidentale. Possiamo prendere spunto dai modi in cui le femministe nere hanno focalizzato l’attenzione recentemente sul “femminismo bianco”, per tentare di risolvere questi problemi negli spazi tradizionalmente dedicati ai diritti animali, perché penso che si tratti di qualcosa di più di una questione retorica.

Per troppo tempo il “femminismo tradizionale” è sembrato focalizzarsi esclusivamente sulle donne bianche, ignorando completamente i modi in cui le donne di colore erano oppresse dal patriarcato in modo differente. Il femminismo in generale sembrava ignorare gli sforzi delle attiviste non bianche. Per questo, quando la femminista nera Mikki Kendall ha pubblicato l’hashtag #solidarityisforwhitewomen, ha sottolineato in maniera brillante i modi in i questi movimenti “tradizionali” riconoscono solo l’attivismo bianco, escludendo e ignorando le lotte e l’attivismo delle persone di colore. In altre parole, “mainstream” fa rima con “bianco”.

Brittney Cooper ha scritto un BRILLANTE articolo intitolato “Feminism’s Ugly Internal Clash: Why Its Future Isn’t Up to White Women” (“Il brutto scontro interno al femminismo: perché il futuro non dipende dalle donne bianche”) per tracciare chiaramente i confini esistenti tra femminismo bianco e nero, e sottolineare che le donne nere non hanno bisogno del femminismo bianco per considerare valido il proprio attivismo. In passato esisteva la percezione del femminismo “bianco”, ma in realtà non veniva mai esplicitamente chiamato in causa. A livello di narrazione, è stata una mossa significativa. Cooper ha osservato come il femminismo bianco (o femminismo tradizionale) sia incentrato sull’uguaglianza, e il femminismo nero sulla giustizia. Sono due progetti diversi e devono essere chiamati con nomi diversi, altrimenti tutto il lavoro svolto dalle femministe nere viene ingiustamente cancellato ed oscurato dagli sforzi organizzativi delle donne bianche.

Abbiamo bisogno di una simile strategia retorica all’interno dell’attuale movimento mainstream per i diritti animali, che è escludente verso le/gli attivist* non bianch*. Parte dell’attivismo considera l’attuale movimento per i diritti degli animali come un movimento bianco, e continua a dedicarsi al nostro attivismo senza lottare per un posto al tavolo bianco. Combattere per i diritti animali e lottare per sentirsi rappresentati in uno spazio bianco sono due progetti molto diversi.

Se persone appartenenti a categorie oppresse non si uniscono ai tuoi movimenti, forse fanno già parte di un movimento che non conosci, OPPURE il tuo spazio è escludente. L’attivismo non dovrebbe focalizzare la propria attenzione su come raggiungere le persone non bianche… dovrebbe usare quell’energia per fare autocritica del proprio movimento o progetto, perché le risposte potrebbero essere lì. Patologizziamo le persone appartenenti a minoranze oppresse, chiedendoci quali siano le loro motivazioni per non unirsi a movimenti e organizzazioni che in realtà le escludono intenzionalmente. Invece di sottolineare gli sforzi messi in campo da attivist* non bianch* (che sono molt*), l’attenzione è tutta rivolta al motivo per cui queste persone non si stiano unendo alle organizzazioni bianche.

Se i bianchi comprendessero profondamente le questioni per cui combattono così appassionatamente sarebbero già inclusivi, quindi sono escludenti in modo decisamente intenzionale. Solo perché il movimento per i diritti degli animali bianchi non ci riconosce, non significa che non esistiamo. È da un po’ che ci diamo da fare!

Molti vegani neri e non bianchi stanno realizzando progetti importanti, dobbiamo permettere a questi movimenti di base di prosperare così come sono. Le persone bianche possono aiutarci sostenendo economicamente e nelle necessità concrete i movimenti di attivist* vegan* appartenenti alle categorie oppresse che non hanno la stessa visibilità delle organizzazioni bianche, piuttosto che cercare di convincere queste persone a unirsi alle loro organizzazioni, un progetto completamente diverso di appropriazione culturale. Le persone vegan di colore che si danno da fare sono molte, e questo è il movimento per i diritti degli animali che io conosco e su cui mi concentro.

Grazie per aver volto al meglio la mia domanda formulata così maldestramente! A quali progetti lavorerai nel prossimo futuro, e quali questioni sono prioritarie per te?

Attualmente sto lavorando alla seconda stagione di Black Feminist Blogger e spero di poter filmare un altro episodio della mia webserie “Tales from the Kraka Tower”. Per me, in questo momento, la cura di sé è la cosa più importante. Per continuare a dedicarmi all’attivismo, devo ricaricarmi, ed è quello che sto facendo ora.

Continuerò a sostenere i media indipendenti e intelligenti e cercherò di finire un EP con la mia band!

Grazie mille per il tempo che ci hai dedicato!

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