L’idea che questo virus colpisca chiunque senza eccezioni è falsa
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Di Charles M. Blow
5 aprile 2020
Alla gente piace dire che il coronavirus non fa distinzioni di razza, classe o paese, che il Covid-19 è indifferente e infetta chiunque.
In teoria, questo è vero. Ma, in pratica, nel mondo reale, questo virus si comporta come gli altri, e si lancia come un missile a guida infrarossa verso i più vulnerabili della società. E questo non perché li preferisca, ma perché sono loro i più esposti, fragili e malati.
La composizione della popolazione vulnerabile di una società varia da paese a paese, ma in America la vulnerabilità si interseca potentemente con razza e povertà.
Le prime prove raccolte in varie città e stati mostrano già che la popolazione nera è colpita dal virus in modo sproporzionato e devastante. Come riportato da ProPublica, nella contea di Milwaukee, a partire da venerdì mattina, l’81% delle persone morte erano nere, e i neri rappresentano solo il 26% della popolazione di quella contea.
Per quanto riguarda Chicago, WBEZ ha reso noto che “il 70% delle persone morte per Covid-19 sono nere”, e ha sottolineato che nella circostante Contea di Cook, “Anche se i residenti neri sono soltanto il 23% della popolazione della contea, rappresentano il 58% delle morti Covid-19 “.
La scorsa settimana, il Detroit News ha comunicato che “almeno il 40% delle persone uccise finora dal nuovo coronavirus in Michigan sono nere, una dato che supera di gran lunga la percentuale di afro-americani nella regione e nello stato di Detroit”.
Se questo modello si rivelerà valido anche in altri stati e città, il virus potrebbe avere un impatto catastrofico sulla popolazione nera del paese.
Eppure, queste disparità razziali non sono state ancora prese in considerazione seriamente né dai servizi giornalistici né da parte del governo nazionale. Molti stati non hanno ancora nemmeno pubblicato dati specifici riguardanti le differenze razziali dei casi di positività e delle morti, e non l’ha fatto neanche il governo federale.
In parte per questo motivo, tutto quello che abbiamo è una disinformazione ingannevole e mortale. La percezione che si tratti di una malattia dei jet-setter, o di una malattia degli “spring breaker” o di un “virus cinese”, come al presidente Trump piace ripetere, deve essere abbandonata. L’idea che questo virus colpisca chiunque senza eccezioni è falsa.
Dobbiamo smetterla di ripetere il messaggio insensibile che la migliore difesa che abbiamo contro la malattia è qualcosa che ognuno di noi può fare, ovvero che basta semplicemente rimanere a casa e mantenere le distanze sociali.
Come ha sottolineato il rapporto dello scorso mese dell’Economic Policy Institute, “meno di un lavoratore nero su cinque e un lavoratore ispanico su sei sono in grado di lavorare da casa”.
Come sottolineato dal rapporto, “Solo il 9,2% dei lavoratori nel quartile più basso della distribuzione dei salari può telelavorare, rispetto al 61,5% dei lavoratori nel quartile più alto”.
Se tocchi le persone per vivere perché ti occupi di cura degli anziani o dei bambini, se gli tagli o acconci i capelli, se pulisci i loro appartamenti o cucini il loro cibo, se guidi le loro auto o costruisci le loro case, non puoi farlo da casa.
Stare a casa è un privilegio. Il distanziamento sociale è un privilegio.
Le persone che non possono farlo devono fare scelte terribili: restare a casa e rischiare la fame o andare al lavoro e rischiare il contagio.
E questo non succede solo qui, ma è la realtà dei poveri di tutto il mondo, da Nuova Delhi a Città del Messico.
Se vanno al lavoro, devono spesso utilizzare mezzi di trasporto di massa affollati, perché i lavoratori che guadagnano poco non sempre possono permettersi di avere un’auto o chiamare un taxi.
Così è la vita dei lavoratori poveri, o di chi vive leggermente al di sopra della povertà, ma sempre in situazione di difficoltà. Tutti i discorsi su questo virus sono imbevuti di elitismo economico. Chi commenta sui social media le immagini di autobus affollati e addetti alle consegne fuori dai ristoranti, e lancia invettive contro le persone nere e non bianche che non stanno costantemente chiuse in casa, lo fa per lo più da case confortevoli con cibo e denaro sufficienti.
Queste persone non capiscono cosa significhi veramente essere poveri in questo paese, vivere in una casa angusta con troppe persone, non avere abbastanza soldi per comprare grandi quantità di cibo o non avere un posto dove conservarlo in caso si riesca a farlo. Non capiscono cosa voglia dire vivere in un deserto alimentare, dove frutta e verdura fresche non sono disponibili e il cibo spazzatura (carente di nutrienti ed economico) esiste in abbondanza.
Queste persone si affrettano a criticare chi affolla i fast food locali per prendere qualcosa da mangiare, ma non tutti possono permettersi di ordinare da GrubHub o FreshDirect.
Inoltre, in una nazione in cui troppe persone nere sono abituate a considerare le loro vite costantemente in pericolo, l’esistenza dell’ennesimo pericolo scatena meno panico. La possibilità di angosciarsi diventa anch’essa un privilegio, possibile solo a chi raramente deve farlo.
Incoraggio vivamente chiunque possa farlo a rimanere a casa, ma sono anche abbastanza consapevole da sapere che non tutte le persone possono o lo faranno, e ciò non dimostra semplicemente un disprezzo patologico per il bene comune.
Se te ne stai rifugiato nella tua torre d’avorio, nella tua comoda strada privata o nel tuo appartamento ben arredato, e la tua più grande preoccupazione è la noia e il cibo avanzato, devi finirla di rimproverare chi si arrabatta per sopravvivere.