di Vinamarata “Winnie” Kaur, originale qui.
Le persone intorno a me
cercano di definire la razza in termini di bianco o nero,
mi guardo…
In agguato tra i codici colore di ciò che è considerato “normale”.
Mi rivolgo al femminismo,
E vedo il movimento femminista occidentale ancora pieno di razzismo e specismo.
Mi sento allo stesso tempo inclusa ed esclusa.
Mi chiedono “Che cosa sei?”
Sono bianca o sono nera?
“Forse nessuna delle due, o forse entrambe; non sono affari tuoi “, rispondo.
Chi sono io e a quale movimento di giustizia sociale dovrei rivolgermi?
Gli altri impareranno mai a guardare oltre la mia Carne Bruna
E incanalare i loro chakra lontano dalle mie apparenze esterne?
Vedo persone intorno a me
Fumarsi e bersi vita e salute.
Socializzano nell’estasi degli allucinogeni
E vanno fiere delle bistecche grigliate ai barbecue estivi, mentre si burlano di vegetarian*e vegan che non condividono i loro piaceri carnali.
E mi guardo… Una femminista decoloniale, astemia, grassa, pelosa, vegan, isolata ed esclusa da quei circoli,
Isolata in compagnia dei miei libri.
Mi rivolgo a TV e film,
che mi ridicolizzano un’altra volta, con il loro sguardo bianco e le pubblicità che fanno vergognare del proprio corpo…
Chi sono io, se non l’Altr* “Altr*” in questa terra delle opportunità, unita eppure divisa?
Chiusa nei pochi spazi liminali che posso chiamare “casa”
Continuo a essere oppressa
Dalle catene stratificate dei binarismi trincerati nell’eteropatriarcato cis-maschio bianco,
Senza un’identità riconoscibile…
E che il Dipartimento della Sicurezza Nazionale ha chiamato, in un’occasione, straniera non residente
E ora chiama residente permanente,
Ancora spogliata del pieno riconoscimento assegnato alla sua “cittadinanza umana”.
Porto in me lo spirito dello schiavo nero,
E un corpo alimentato da piante,
E spargo la notizia che…
Sono diversa e senza un’identità,
Sono vegana e femminista non occidentale,
E va bene così.
Occupo i margini e le sfumature di questa società ossessionata dalla carne e dal colore,
Non solo a causa delle mie scelte alimentari o per l’invisibile purdah* che indosso sulla mia pelle,
Ma a causa della mia soggettività e delle esperienze vissute.
Chi dà a chicchessia il privilegio di escludermi dai limiti della “normalità”
E costringermi a classificarmi come bianca o nera / femminista o vegana?
Mi rifiuto di identificarmi come una o l’altra…
Perché #BlackLivesMatter, #BrownLivesMatter, #TransLivesMatter, #IntersexLivesMatter, #NativeLivesMatter e #NonHumanLivesMatter.
E non si dovrebbe più consentire a bianchezza, colonialismo e specismo di definire le nostre relazioni con i nostri corpi marginalizzati;
Sono una femminista vegana intersezionale, non bianca, asiatica del sud,
E queste sono parti irrinunciabili della mia identità multisfaccettata
Per le quali continuerò a lottare,
Fino al mio ultimo respiro.
* La purdah o pardaa è la pratica che vieta agli uomini di vedere le donne. Essa si attua in due modi: segregazione fisica dei sessi o imposizione alle donne di coprire i loro corpi al punto di nascondere la pelle e le loro forme.