NUDM: Basta al linguaggio specista!

Care compagne di Non Una Di Meno,
siamo qui a scrivervi oggi come singolarità femministe antispeciste.
Nella nostra pratica politica rivendichiamo un approccio intersezionale che tenga in considerazione non soltanto l’oppressione patriarcale e sessista, ma che includa nelle proprie riflessioni, con pari dignità, le questioni relative a classe, razza e specie; con particolare riferimento a quest’ultima categoria, sentiamo viva la necessità di lottare al fianco delle singolarità non umane che, da sole o in gruppo e in maniera incessante, si ribellano allo sfruttamento e all’oppressione estrema di cui sono oggetto da tempo immemore.
Non è un mistero che i movimenti per la liberazione umana siano sempre stati miopi (per non dire completamente indifferenti) rispetto alla questione animale, rivelando in questo ambito un’adesione totale alla prassi di dominio del sistema – aspetto che, al contrario, in campo umano si ritiene inaccettabile ed è giustamente sottoposto a feroce critica.
I riferimenti ingiuriosi ai non umani – le “pecorelle”, i cani, i maiali, le oche e le galline, gli asini, le serpi, gli sciacalli, e potremmo continuare all’infinito – hanno caratterizzato da sempre il linguaggio militante, intriso di un approccio umanista mai messo in discussione: la retorica dell’umanità come valore supremo indiscutibile e l’incapacità di cogliere l’ambiguità di una categoria labile e costantemente modulabile (a seconda, ça va sans dire, degli interessi dell’oppressore) sono state le costanti della fede cieca riposta in tale concetto, quanto mai sfuggente e nebuloso. L'”umanità” infatti, il più delle volte, si è mostrata una categoria escludente – non soltanto per i “non umani”, ma per chiunque, anche umano, si trovasse in posizione di debolezza e fragilità; un utile strumento di dominio che, attraverso il “divide et impera”, ha difeso gli interessi delle/i più forti a scapito delle/i più deboli.
È per questo che non stupisce leggere, anche nei comunicati di Non Una di Meno, continui riferimenti ai non umani come termine di paragone negativo dal quale prendere le distanze. Nonostante ci si trovi, quindi, di fronte ad una consuetudine consolidata – per quanto ai nostri occhi riprovevole, oltre che spia di povertà concettuale e incapacità di formulare critiche senza chiamare in causa ipotetici termini di paragone peggiorativi – l’ennesima peculiare espressione di questa retorica specista ci ha spinte a voler affrontare in maniera collettiva questo argomento. 
Nella vostra lettera alla Direttora dell’Huffington Post Lucia Annunziata, relativa ad un pessimo articolo a firma Deborah Dirani su di un recente caso di infanticidio, ci ha colpite particolarmente (oltre ai soliti riferimenti specisti generici, quali definire “canea” lo scatenarsi delle polemiche intorno al caso da cui l’articolo prende le mosse) l’utilizzo delle “mucche” come termine di paragone, ovviamente negativo, del determinismo  biologico del materno. 
Un esempio che colpisce perché assurdo (anche dal citato punto di vista biologico, basti pensare che l’infanticidio è comunissimo a molte specie animali), gratuito (per ribellarsi all’innatismo della maternità non è necessario tirare in causa altri soggetti, quando basterebbe rivolgere l’attenzione al concetto di autodeterminazione; che peraltro, dal nostro punto di vista, si rivela allo stesso modo prezioso per descrivere l’incessante ricerca della libertà dei non umani, intrappolati all’interno delle fitte maglie dello sfruttamento umano) e, tutto sommato, inefficace.
Per questo abbiamo deciso di indirizzarvi queste poche righe, auspicando che vengano considerate con la dovuta attenzione – aspetto, quest’ultimo, del quale non siamo assolutamente certe: non ci è sfuggito infatti come, all’interno di questa rinnovata esperienza di “femminismi”, l’agibilità del discorso antispecista sia seriamente minato, e anzi derubricato a scelta personale (l’antispecismo non equivale alla pratica vegan, seppure in qualche modo la presupponga, ma rappresenta una critica allo specismo che, in maniera analoga ma ancor più pervasiva del sessismo, caratterizza l’oppressione di alcuni soggetti da parte di una supposta categoria autodefinitasi “superiore”, ovviamente umana). 
La nostra critica dunque non può essere tacitata ricorrendo al contentino dei pasti “vegan friendly”, poiché l’antispecismo non è una pratica alimentare assimilabile ad altre derivanti da motivi religiosi, medici o alla moda (non seguiamo precetti kosher, e non siamo celiache o né paleo, tanto per intenderci), ma una critica sistemica che prende in considerazione tutti gli aspetti di produzione e riproduzione degli animali non umani ai fini dello sfruttamento dei loro corpi e delle loro vite da parte di una società specista che si fonda proprio su miliardi di corpi non umani massacrati : in questo senso, anche la critica al linguaggio – come del resto avviene in ambito femminista – ha un ruolo fondamentale. 
Auspichiamo dunque di non dover leggere più simili documenti, e di sentire riconosciuta la nostra lotta – che non è marginale, se non per chi continua a ritenere l’umanità un valore (quando si è sempre rivelato perlopiù un utile strumento, funzionale alla creazione di infinite marginalità oppresse tra le quali ci riconosciamo, seppure in svariate forme) – all’interno di un movimento che, non dissimilmente dalla società liberale nella quale viviamo,  ha mostrato finora un approccio “intersezionale” soltanto con quelle lotte che non mettono in discussione il proprio posizionamento dal “lato giusto” del sistema di dominio.
Nei confronti degli animali non umani, che ci piaccia o meno, siamo tutt* oppressor*: tocca fare i conti con questo aspetto e chiedersi con onestà come si possa voler “distruggere la casa del padrone” senza mettersi in discussione quando si è il padrone.
Vi ringraziamo di averci dedicato il vostro tempo.
Vuoi leggere di più sull’argomento?
Ecco qualche link:

Un pensiero su “NUDM: Basta al linguaggio specista!

  1. Cara animaliena,
    Sono di Padova e sono stata a un paio di riunioni di NUDM, appena ho aperto bocca chiedendo di fare almeno un tentativo di associazione tra donne e mucche da latte…che poi non siamo così tanto diverse le une dalle altre…e’ calato il gelo tra le femministe. Qualcuna ha farfugliato qualcosa tipo che stiamo uscendo dal tema principale, le più mi hanno ignorata semplicemente, qualche sguardo pietoso tipo “povera pazza”.
    Tra le altre cose una quasi inesistente partecipazione di donne lesbiche, lesbiche migranti ecc.
    Non ci sono più andata, perché non mi piace forzare gli eventi e nemmeno perdere tempo prezioso.
    Mesi prima avevo proposto di portare nel circolo uno spettacolo teatrale di Barbara Mugnai, attrice e attivista antispecista, mi hanno risposto che era troppo disturbante…per chi non ho capito bene, forse per quelli che hanno paura che gli togli la bistecca dalla bocca!
    Sono iscritta anche alla lli lista lesbiche italiane, più volte ho cercato di sensibilizzare le donne riguardo a certe tematiche, se non vuoi occuparti dei tori e dei galli, come lesbica dimostra almeno un po di sensibilità verse le vacche da latte e le galline ovaiole …niente da fare, forse sono io che non riesco esprimermi in modo di farmi ascoltare o forse le interlocutrici e gli interlocutori sono sordi.
    Ovviamente sto descrivendo in modo ironico una triste realtà, specifico non sia mai che mi prendano per una che pratica taglia e cuci come hobby abituale.
    Grazie comunque per il vostro articolo, ci sono ancora molti preconcetti, pregiudizi come alti muri da sgretolare.

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