Vi ricordate Green Hill?
Ripensando alle immagini simbolo di quella mobilitazione, è impossibile non rammentare i piccoli corpi goffi dei cuccioli di beagle, condannati ad un atroce destino, passati di mano in mano oltre alle recinzioni che li tenevano reclusi. E le migliaia di persone che, a gran voce e per mesi, hanno chiesto la chiusura di quel luogo di morte dal nome ridicolmente bucolico, firmando petizioni, partecipando a cortei… fino ad offrirsi, da tutta Italia, di adottare i cani scampati alle torture che li attendevano dietro alle mura dei laboratori di tutto il mondo, nel silenzio assordante che caratterizza le raccapriccianti pratiche della sperimentazione animale.
Certo, non sono state solo rose e fiori: le divergenze tra attivist* si sono rivelate spesso feroci, e nemmeno per quei cani che sono riusciti ad evitare l’inferno tutto in seguito è andato liscio come l’olio… Come dimenticare quelli che usciti da lì non ce l’hanno fatta, o quelli troppo “danneggiati” dagli abusi subiti, e finiti in breve tempo nei canili – individui che hanno avuto bisogno di tutta la pazienza e tutta l’attenzione possibile per trovare, finalmente, un po’ di pace.
In ogni caso e tutto considerato, quello di Green Hill è stato un momento emblematico, nel quale si è fatto palpabile un coinvolgimento collettivo capace di travalicare i consueti confini dell’attivismo antispecista. Mi dicevo al tempo, come una Cassandra infausta, che se si fosse trattato di topi nessun* avrebbe mosso un dito per loro.
Poco tempo dopo cinque attivist*, cinque di quelle stesse persone che tanto si erano spese proprio in occasione di Green Hill (campagna preceduta peraltro, in passato, dalla meno conosciuta Chiudere Morini), hanno ritenuto che i tempi fossero maturi per alzare l’asticella e richiamare l’attenzione generale, con maggiore forza, sulla questione della sperimentazione animale.
Così, il 20 aprile 2013 – scommettendo l’impossibile e mettendoci la faccia, i corpi e la determinazione necessaria quando dal piano delle idee si passa a quello della realtà – si sono introdotti nello stabulario del Dipartimento di Farmacologia dell’Università Statale di Milano, incatenandosi alle porte e inviando all’esterno immagini diventate subito virali, e patteggiando con l’Università allo scopo di salvare ben 401 vite (in realtà molte di più, ma come spesso accade, una volta finita l’occupazione, l’istituzione universitaria ha fatto marcia indietro).
Ebbene, quelle 401 vite – e quell’azione straordinaria – sono ben presto cadute nel dimenticatoio, poiché in questo caso ad essere liberati non furono dolcissimi cagnolini scodinzolanti, ma topi, ovvero animali considerati, dalla maggior parte delle persone, esseri schifosi degni soltanto della disinfestazione.
A partire da domani, i protagonisti di questa vicenda si troveranno ad affrontare un processo per occupazione, violenza privata e danneggiamenti.
Attivist* che invece di sentenziare “bisognerebbe fare così”, “qualcun* faccia qualcosa”, “poverini, che orrore”, hanno agito, consapevoli che ci sarebbero state conseguenze; che hanno avuto il coraggio – caratteristica che spesso, in generale, manca – di prendere le parti dei più deboli, di coloro che sono considerati esclusivamente “nocività” da eliminare. Quelli che, anche tra gli animali, sono considerati reietti fra i reietti, ma che rappresentano in realtà la specie più conosciuta, usata e sfruttata in nome di quella “scienza” che si considera intoccabile e che nasconde accuratamente il proprio operato, nonché gli svariati interessi, economici e non solo, che stanno alla base di tanta sofferenza.
Queste cinque persone meritano la nostra solidarietà incondizionata, perché hanno fatto ciò che andrebbe fatto ogni giorno, ovvero fermare ad ogni costo, come sassolini lanciati negli ingranaggi, l’inesorabile macchina del dominio e dello sfruttamento.
Ad ogni costo personale, beninteso: ed è quello che sovente, per paura, si rivela difficile fare. Loro, invece, non hanno esitato un solo istante, ed ora tocca a noi aiutarli. Tocca a noi affermare con forza che hanno fatto ciò che è giusto, e sostenerli senza riserve, mantenendo alta l’attenzione – consapevoli che la loro disobbedienza civile, messa in atto senza ricorrere a violenza alcuna, rischia di venire ingigantita nel corso di questo processo allo scopo di intimidire ed indebolire chi protesta.
Dentro Farmacologia avremmo dovuto essere tutt* insieme: e ancor di più oggi non possiamo in alcun modo restare in silenzio di fronte al tentativo di fare di quest* coraggios* attivist* l’esempio di quanto il potere repressivo possa annichilire ogni resistenza, anche la più giusta.
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Il 28 aprile verranno processati 5 attivisti che nel 2013 a Milano occuparono lo stabulario della Facoltà di Farmacologia per abbattere il muro del silenzio che nasconde alla società l’incubo chiamato “sperimentazione animale”.
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