Alleanze escludenti

Desideriamo i corpi animali. Usiamo i corpi animali.

Dai corpi animali ricaviamo un piacere estremo. Un piacere fisico e quotidiano.

Il piacere tattile.

Percepirne il calore del corpo, che deve piegarsi docilmente alle nostre esplorazioni e manipolazioni. Accarezzarne il pelo quando vogliamo, sia esso vivo, parte di un essere reso docile dall’addomesticazione e che definiamo “da compagnia” per l’uso esclusivo che vogliamo farne, o privato della corporeità alla quale apparteneva – in una lussuosa, calda e morbida pelliccia.

Il piacere visivo.

Bramiamo guardare gli animali, e da vicino. Per questo realizziamo prigioni povere di mondo, nelle quali osservare i loro corpi sinuosi quando più ci aggrada. La segregazione, il dispositivo di controllo totale su quei corpi, indocili ma resi vulnerabili dalla presa di un potere totale lo chiamiamo “amore per la natura, salvaguardia della biodiversità.” Ci piace immaginarci virtuos*, e siamo così brav* ad illuderci per non deluderci, pur di salvare la faccia. Così l’animale prigioniero sconta un’eterna pena per soddisfare il nostro gioco narcisista e pornopoietico. Il piacere di vedere anche chi non vuole essere vist*.

Il piacere gustativo.

Assaggiarne i corpi. Corpi oramai privi di vita, corpi morti di morte violenta, e spesso corpi morti già in vita. Ma la carne è tenera, finalmente docile. La carne che non prova più nulla, la carne strappata con violenza dalle ossa, tra i guizzi degli occhi e gli spasmi dei nervi, serve un più alto proposito. Serve ad amplificare il nostro piacere oltre i limiti. Piacere di gustare, piacere di possedere, piacere di distruggere per illudersi di non essere noi stess* parte di quel gioco al massacro che tritura corpi come ramoscelli spezzati.

Il piacere mimetico.

Indossarne la pelle morbida – calda e fredda allo stesso tempo – incapaci però di mettersi davvero nei panni altrui. Con la loro pelle addosso sentirsi selvatici, eccitabili, trasgressivi. Aderendo, in realtà, completamente alla norma sacrificale.

Il piacere uditivo. Ascoltarne le voci melodiose, ancora una volta segregandone i corpi in angusti spazi di prigionia, incapaci di distinguere un canto di gioia da un grido di disperazione.

C’é stato un tempo nel quale la vita e la morte erano patrimonio di ogni vivente. Un mondo fatto di piacere e violenza, un mondo di dolore ma anche di gioia. Vivere e morire non erano questione di simboli, di valori e plusvalori, ma nuda vita in movimento.

Lottare per gli altri animali, tutti gli animali “che dunque non sono” ha il senso irrinunciabile di ridare la vita a chi se l’è vista strappare. È imparare a godere dell’altrui gioia, non approfittare del dolore di chi è vulnerabile. È riconoscersi vulnerabili, e accettare di non essere il centro del mondo. È fare politica per tutti i corpi che non contano, non soltanto il proprio.

Se l'”alleanza dei corpi” ignora miliardi di oppress*, in cosa si differenzia dai patti utilitaristici degli oppressori?

 

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