Domani a Roma avrà luogo la manifestazione Non una di meno, contro alla violenza maschile sulle donne. Parole d’ordine raramente condivisibili, autoritarismi femministi seguiti da inevitabili e furibonde polemiche e dal polarizzarsi delle posizioni in seno alle/gli attivist* – uno spettacolo sempre più desolante di attacchi ad personam con corollario di liti burrascose, minacce di querele e scuse estorte – hanno accompagnato, nelle ultime settimane, l’approssimarsi di un evento che è lo specchio di un femminismo nel quale non mi riconosco più, un femminismo dal quale ho – dolorosamente – preso le distanze già da molto tempo.
Dolorosamente perché a me, il femminismo, ha salvato la vita. Mi ha aperto gli occhi, mi ha insegnato a decostruire “naturalità” artificiali, mi ha reso autodeterminata, combattiva, consapevole. Mi ha fatto conoscere compagn@ di vita e di lotta che sono al mio fianco da anni. E l’intersezionalità – teoria nata in seno al femminismo che è diventata anche pratica politica trasversale di lotta al potere – mi ha donato una nuova prospettiva, più ampia e complessa, sulla presa inarrestabile che stritola vite e corpi marginali, resi tali dal potere stesso per estrarre plusvalore da chi è reso vulnerabile e pertanto spendibile.
Eppure in Italia qualcosa è andato storto. Sebbene negli ultimi anni la parola intersezionalità sia diventata come cacio sui maccheroni di qualsiasi discorso politico, il senso di questa parola – ma soprattutto le sue implicazioni pratiche – è ben lungi dall’essere compreso. Il femminismo storico, che qui in Italia ha un passato importante, non è stato in grado di accogliere in sé gli stimoli eccentrici provenienti da femminismi altri, che hanno spinto la propria analisi – da molto tempo ormai – oltre ai binarismi e alla narrazione della differenza.
Mai come in questo caso stiamo pagando lo scotto di tali nobili – quanto ingombranti -natali, con l’arroccarsi di gran parte del movimento femminista storico in posizioni essenzialiste e soprattutto autoritarie: solo le donne possono esprimersi su determinati argomenti, e “le donne” rappresentano una categoria continuamente ridefinita e sempre meno accogliente… le uniche ad avere voce in capitolo sono bio-donne, dichiaratamente femministe, possibilmente bianche (in ogni caso caratterizzate da un certo accesso a cultura e risorse economiche), che hanno un’idea della donna ben chiara, in quanto essere da proteggere e tutelare, persino da se stessa (ma loro no, loro sono fortissime e autodeterminate), a cui mostrare la via dell’empowerment ma soprattutto insegnare un’idea sacralizzante di alcune parti del corpo – quando è in gioco il sesso a pagamento o la maternità per altri – ma allo stesso tempo desacralizzata – quando si parla di aborto e di sessualità relazionale. Oltre a rilevare la postura paternalista di queste posizioni, mi paiono decisamente schizofreniche.
Il posizionamento di classe emerge chiaramente, ed è inscindibile da quello politico: sacerdotesse della differenza sessuale, per alcune di loro il femminismo – diciamolo pure fuori dai denti – è passato dall’essere (almeno spero) antica passione politica, a mestiere ben remunerato. Resistono con veemenza alle nuove istanze con tutta l’arroganza del vecchio che non cede il passo al nuovo, e si rendono colpevoli – ebbene sì, colpevoli – di continuare a propagandare e tenere vive idee vecchie di decenni, a restare chiuse alle contaminazioni di pensieri e pratiche altre, convinte di aver scoperto una verità che con gli anni è diventata una Fede, cieca e violenta come solo la Fede sa essere.
Sono incapaci di costruire alleanze nel rispetto delle differenze, anzi le differenze – di cui tanto si riempiono la bocca – fanno loro orrore. E non sono capaci nemmeno di ascolto e di dialogo, ma soltanto di monologhi conditi da accuse continue, volti ad abbattere bersagli politici svariati: ieri la femminista tizia e caia che non è “fedele alla linea”, oggi l’attivista queer che smaschera la loro incapacità di costruire alleanze e la violenza ontologica verso chi non la pensa ESATTAMENTE come loro, domani gli uomini tutti, relegati con soddisfazione alla coda del corteo, perché, sebbene alleati, non dimentichino mai di essere geneticamente violenti e dunque colpevoli.
Questa ostilità verso l’Altro, anzi, la riduzione dell’altro al medesimo è evidente nell’incapacità di accogliere e interrogarsi di fronte a nuove istanze politiche, nate in seno al femminismo o provenienti da altri percorsi: la risposta alle questioni e riflessioni proposte da ciò che non viene riconosciuto come identico è un laconico “è una lotta (argomento/ idea/ teoria) che non seguo/non mi interessa/ non mi riguarda.”
Da tempo ho compreso che questo femminismo non mi rappresenta, e mi sono avvicinata alle teorie – e pratiche – transfemministe e queer, nelle quali ho invece trovato maggiore apertura nei confronti dell’alterità e l’antidogmatismo tipico di un movimento ancora vitale. Per questo domani non sarò a Roma, felicemente: non mi interessa far parte di una marea indistinta che non mi rappresenta, e ingrossare le fila di una manifestazione “capitanata” da femministe dell'(in)differenza e del privilegio, che sbattono i mostri in fondo al corteo… preferisco i percorsi tortuosi e i rigagnoli transfemministi e queer, nei quali la politica (e la vita) scorrono ancora impetuosi.
[…] da AnimAliena: […]
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Deliziosa Feminoska, raramente mi è capitato di leggere una critica al femminismo, a quel tipo di femminismo ormai imperante, così lucida e consapevole. Proprio come te me ne rimango volentieri a casa, perché non me la sono sentita di partecipare ad un corteo dove una persona rimane relegata al fondo per punizione e viene rappresentata sempre e solo una idea di donna, con rare eccezioni che vengono tenute in disparte spesso e volentieri.
Questo tuo articolo mi dona la speranza, la sensazione di non essere da sola a portare avanti un certo tipo di femminismo (transfemminismo intersezionale queer) e di non essere la sola a pensare che sì, qualcosa sta andando decisamente storto. Ribloggo il tuo articolo con grande gratitudine e passione.
Un abbraccio.
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A parole così belle non si può che rispondere ringraziando di cuore. Scrivo per me, ma anche per chi come me vaga sperdut* in un mondo che fatica a riconoscere… bello sapere che è un sentimento condiviso! Un abbraccio a te!
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L’ha ribloggato su THE QUEER WORDe ha commentato:
Lucidità, trasparenza, verità umane… dove sta andando il Femminismo e perché non siamo tutt* a Roma per il corteo di oggi.
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[…] Leggi anche: Non una di meno… alle loro condizioni! […]
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L’ha ribloggato su You (sweet) Pucke ha commentato:
Io ci sarei andata alla manifestazione del 26 novembre a Roma, se non mi fossi ammalata, ma condivido il fastidio verso un certo femminismo chiuso in se stesso, separatista, poco aperto al dialogo… Nonostante questo, però, spero che pian piano le cose possano evolversi all’interno dei Movimenti e delle Associazioni, soprattutto in quelle realtà in cui sono io stessa impegnata.
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