“La sessualità è come le lingue, tutti possiamo impararne diverse”
Paul B. Preciado
Parto da una citazione di Paul B. Preciado (filosofo e attivista queer) perché è proprio da qui che prende le mosse la tesi di questo articolo, dato che la lingua è, per chiunque, il mezzo imprescindibile per far parte della comunità. Come nel caso dello straniero che, non imparando la lingua del luogo, si pone da sé nella posizione di paria, di appestato della società, così le sessualità periferiche comportano una certa segregazione sociale per il loro sfuggire al “linguaggio” principale. Tuttavia, nelle città multiculturali, o nelle formazioni sociali in cui si trascende il senso fascista di un linguaggio collettivo, si viene a creare una pluralità di codici che arricchiscono il processo comunicativo.
La metafora delle lingue per fare riferimento a questa teoria che cerca di rompere con il concetto binario della sessualità che prevale nella società, è un chiaro esempio di ciò che la teoria queer evidenzia come forma di sovversione alla norma eteropatriarcale che ci viene imposta dal discorso del potere.
Per disintegrare questo concetto, dobbiamo partire dall’essenza stessa del linguaggio. In termini puramente ortodossi, si tratta di qualsiasi codice usato dai membri di una determinata società, al fine di comunicare. Anche se unisce i membri di tale comunità, definisce anche un confine di comunicazione verso l’esterno, segregando in tal modo chi non utilizza lo stesso codice.
Nel campo della sessualità, il discorso riprodotto dagli apparati di controllo è quello rappresentato dal binomio uomo-donna, al quale possiamo anche riferirci come eterosessualità. Questo discorso ci circonda a tal punto che, di regola, non sfugge ai contratti sociali che uomini e donne acquisiscono esercitando una preferenza sessuale verso i membri di qualunque sesso.
La struttura discorsiva nella quale siamo educati ci applica inflessibilmente un’etichetta alla nascita, in base al nostro genere: uomo-donna. In accordo con questa norma, ci vengono trasmessi segnali che determinano l’aspetto, il comportamento e i valori sulla base dei nostri organi riproduttivi. Così, le donne indossano le gonne e i bambini i pantaloni, le bambine sono delicate e gli uomini forti, e questo è il modo in cui veniamo assimilati nella società, diventiamo parte di questo discorso e lo legittimiamo con le nostre azioni.
Questa struttura binaria non è altro che un mezzo di controllo funzionale al mantenimento dell’ordine riproduttivo così come del consumo, e va ben oltre l’eterosessualità. Questa struttura è talmente radicata nella comunità che spesso l’omosessualità non è percepita come un rapporto tra due persone dello stesso sesso biologico e psicologico, ma come l’unione tra due persone dello stesso sesso biologico in cui psicologicamente (e anche esteriormente) una “fa” il maschio e l’altra la femmina.
Ma cosa succede, ad esempio, nel caso di transgender ed intersessuali? Sono forse ibridi di questo genere binario?
A questo punto, dobbiamo mettere a fuoco cosa intendiamo per discorso eteropatriarcale. Secondo l’idea propugnata da Foucault, ogni società controlla, seleziona e propaga un determinato discorso attraverso processi di segregazione e legittimazione che sono alla base di quella che definiamo “verità”.
Seguendo questa linea di pensiero, il discorso eteropatriarcale si basa su questa rappresentazione e definisce alcune caratteristiche come maschili o femminili, obbligando gli individui a darsi una etichetta che definisca il loro genere e/o preferenza sessuale come etero, checca, butch, ecc.
In questo contesto, la teoria queer emerge come movimento filosofico e sociologico caratterizzato da una chiara espressione politica e la cui genesi prevede la decostruzione di una identità sessuale libera rispetto a quelle stigmatizzate dal genere binario.
Prende il nome da un insulto (queer significa “frocio”) e lo potenzia con la riaffermazione del diritto umano alla libera scelta della sessualità. In sostanza, ciò che prospetta è l’emancipazione dalla struttura binaria verso un divenire “ciò che si è”.
Questa natura ribelle comporta l’accettazione e l’uso di codici “mascolini” e “femminili”. Le pratiche queer riflettono la trasgressione dell’eterosessualità istituzionalizzata che costringe i desideri che cercano di sfuggirne la norma (…) riformulando nuovi processi di identificazione e differenziazione rispetto alla sessualità (Fonseca e Quintero, 2009).
Anche se questo processo è più riconoscibile in un soggetto trans, il suo fondamento filosofico non si pone unicamente negli uomini che adottano un aspetto femminile o nelle donne che scelgono la mascolinità, ma in un libero transitare attraverso tutte le caratteristiche che definiamo come maschili e femminili, allo scopo di riformulare ciò che Judith Butler chiama la nostra “identità performativa”.
Ed è qui che si avvera la metafora citata all’inizio di questo testo. Poiché in questa ricostruzione, l’atto rivoluzionario sta nel farci carico della nostra capacità organica di incorporare elementi maschili e femminili nel nostro sé, passando dagli uni agli altri, mescolandoli o esaltandoli nell’ambito della nostra performatività e quindi prendendo le distanze dalla necessità di definirci e incasellarci assegnandoci un’etichetta sessuale.
Le categorie di identità tendono a diventare strumenti di regimi regolatori, sia che agiscano come categorie normalizzanti di strutture oppressive, sia quando servono ai fini dell’incontro per una opposizione liberatoria. In altre parole, la categoria “lesbica” è tanto normativa quanto la categoria “eterosessuale”. Per Butler, qualsiasi categoria di identità controlla l’erotismo, lo descrive e autorizza e, in misura molto minore, lo libera. La teoria non dovrebbe essere intesa candidamente come riflessione disinteressata, poiché è del tutto politica (Fonseca e Quintero, 2009).
Ed è in questo stratagemma politico del genere binario che si presume che il femminile sia delicato, sottile, vulnerabile – l’opposto del potere, della virilità e del predominio maschile. Quindi, questa formula promuove la struttura sociale di dominio in cui il potere è collegato ai genitali coi quali siamo nati e, quindi, non è evitabile.
La proposta di una sessualità poliglotta (per proseguire con la metafora) non è esattamente, o non solo, un discorso di emancipazione delle donne attraverso l’assimilazione di costrutti mascolini, ma il contrario. Essa cerca di trasgredire il discorso di genere indipendentemente dai genitali.
Diventare “ciò che si è” implica questa dissociazione fallica o vulvare delle caratteristiche sociali di un individuo. In altre parole, ricostruire la nostra identità performativa e, su di essa, realizzare una sessualità libera e coerente con noi stessi. Gli uomini potranno liberare la propria femminilità, e le donne la propria virilità.
Imparare a riconoscere il potenziale umano rappresentato dall’androginia – non tanto estetica quanto a livello di codici – è una forma di rivoluzione, uno schierarsi contro il sistema fascista che rende obbligatorio un ordine funzionale al potere di pochi, che assoggetta tanto il genere femminile (sminuito, sempre al servizio dell’uomo) e maschile (attraverso la repressione della sensibilità, dei desideri omosessuali, e la lotta continua per conservare il potere) al fine di favorire la riproduzione del soggetto-assoggettato a beneficio del sistema capitalista e del mercato del consumo.
Per approfondire ulteriormente l’argomento, Testo Tossico di Paul B. Preciado e Teoria King Kong di Virginie Despentes, documentano il rafforzamento che deriva dal rompere con il binarismo di genere, appena abbozzato in questo articolo.
Testo originale di Indira Broca, tradotto e pubblicato per gentile concessione dell’autrice.
Poeta e redattrice.
Vive per creare e la sua più grande dipendenza è l’informazione. Autodidatta e libera pensatrice. Concorda con Foucault nel ritenere che alla base di ogni aspetto della società vi sia il discorso e che, in senso stretto, derivi dal linguaggio. Le sue riflessioni filosofiche, creative e sociali, partono da questa premessa.
Immagine di Gabriel Garcia Roman, Queer Icons
L’ha ribloggato su Blog delle donne.
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