Nel corso degli anni novanta Carol Rama, alla ricerca di una figura in cui identificarsi, non ricorre ad immagini di femminilità, ma a quelle dell’animale malato affetto da encefalopatia spongiforme bovina: la “Mucca Pazza”. La Mucca Pazza occupa ossessivamente l’ultimo periodo della sua vita. Gli elementi e i motivi caratteristicamente carolramiani (la gomma, la tela dei sacchi postali, i seni, le lingue, i peni, le protesi …) sono ora riorganizzati in un “teatrino” astratto a formare un’anatomia dislocata non più in grado di costituire un corpo. Tuttavia, Rama finirà per definire autoritratti queste opere non figurative: “Si tratta di straordinari autoritratti, straordinari, non perché sono belli, ma per l’idea di queste tette e cazzi di toro, per il nostro modo di guardare l’anatomia di tutti in parti separate, estreme”. “La Mucca Pazza sono io”, dice, aggiungendo, inaspettatamente “e questo mi ha fatto piacere, godere in modo straordinario.”
La prossimità tra l’umano e l’animale che Carol Rama rende reale nel suo lavoro non è solo metaforica. L’epidemia del morbo della “mucca pazza”, trasmissibile agli esseri umani, ha rivelato i legami bioculturali, rituali, economici e sessuali con l’animale. L’epidemia è apparsa nel Regno Unito nel 1986 come variante bovina della malattia umana di Crutzfeldt-Jakob. È una malattia degenerativa del sistema nervoso centrale causata da una mutazione che cambia la forma di un gene della proteina: colpisce le cellule neurali che si disintegrano e muoiono. Il cervello viene letteralmente crivellato di buchi, che producono una disconnessione progressiva del sistema nervoso.
Se a livello micro-cellulare l’epidemia è una questione di forma, di estetica cellulare, etologicamente è una questione di riti, di teatralità sociale. L’epidemia ha smascherato il circuito di cannibalismo animale-umano generato dall’industria alimentare e dal “complesso industriale animale” dopo la seconda guerra mondiale. Dopo un’aspra controversia scientifica, venne stabilito che l’origine della malattia derivava dall’inclusione, nell’alimentazione delle vacche, di resti di ovini, caprini e anche carne di manzo. Tra il 1998 e il 2000 apparvero, sulle televisioni di tutto il mondo, le immagini: prima delle mucche traballanti con la bava alla bocca. Poi dei macelli dove si fabbricavano le farine animali. I primi piani della carne trasformata in polvere. Le fotografie al microscopio dei neuroni infetti. Infine, il sacrificio e le cremazioni di massa di animali. Carol Rama non è l’unica mucca pazza: l’umanità è la mucca pazza.
Abbiamo trasformato degli animali vegetariani in carnivori cannibali. E noi, “umani”, siamo gli invitati finali della festa sacrificale. Attraverso l’analisi dei rapporti tra il visibile e la carne, l’eco-femminista Carol J. Adams parla di “pornografia della carne” per fare riferimento alla logica (sessuale, visiva, ma anche gastronomica) della rappresentazione-produzione del corpo animale come materiale di consumo nelle società eteropatriarcali. Carol J. Adams e l’attivista antispecista Ami Hamlin fanno riferimento alla sessualizzazione gastronomica dell’animale e alla rappresentazione pornografica della carne come effetti di un sistema visivo “antropornografico” in cui la carcassa dell’animale è rappresentata come un oggetto di desiderio sessuale. Il corpo femminile è carne, e la carne animale è un corpo femminilizzato attraverso lo sguardo eterosessuale normativo. E’ su questa catena cannibale e sui legami bio-culturali di consanguineità, desiderio, potere e violenza che si focalizza il lavoro di Rama.
Questa consapevolezza di essere-animale-per-essere-consumato era già presente nel 1980, quando Carol Rama riprende in Mancelleria la figura di Dorina, questa volta trasformata in macellaia. Rappresentata con faccia suina, la Dorina-macellaia è sia una Saturno che divora i suoi figli di Goya che una Medea di Pasolini in versione umano-animale. Questa è la passione secondo Carol Rama. Ansia di divorare per possedere. Sapendo che stiamo divorando noi stessi.
Da un lato, in Carol Rama, la Mucca Pazza è una figura post-umana dell’isteria. Come la modernità disciplinare isterizzò il corpo femminile, le società farmacopornografiche della fine del ventesimo secolo isterizzano l’animale. Le scosse che agitano le enormi mammelle delle vacche, filmate nei macelli europei ricordano gli spasmi isterici fotografati alla Salpétrière dall’obbiettivo di Charcot.
Testo condiviso da Pletora. In occasione della mostra “La Passione secondo Carol Rama” curata da Paul.B Preciado e Teresa Grandas al MACBA, Pletora # 3 ha pubblicato un’anteprima esclusiva del testo “L’arto fantasma: Carol Rama e la storia dell’arte “