Angela Y. Davis sulla radicalità nel ventunesimo secolo

Articolo originale di Pat Morrison qui. Traduzione di feminoska.

Desidero ringraziare Federico Zappino per aver condiviso l’articolo originale e per avermi dato la sua preziosa consulenza in alcuni passaggi incerti. Vorrei anche suggerire qualche riflessione relativa ad affermazioni di Angela Davis, presenti in quest’intervista, che non condivido del tutto. 

In merito alla riforma carceraria ad esempio, pur sostenendo di far parte del movimento per l’abolizione delle carceri, Davis si dichiara favorevole alle riforme nel caso in cui siano migliorative e non rinforzino il complesso carcerario. Analizzando questo passaggio da un’ottica antispecista, mi pare evidente il rischio – che è già realtà consolidata nello sfruttamento animale – che il relativo “maggior benessere” dei detenuti (umani o non umani poco importa) sia di per sé di rinforzo al sistema carcerario, dal momento che lo stesso non viene messo completamente in discussione, ma solo considerato come passibile di qualche ritocco che lo renda più accettabile – a chi vi è imprigionat*, o all’opinione pubblica? 

Se, come afferma poco dopo, il cosiddetto “paradigma retributivo” va cambiato, non è passando attraverso “gabbie più grandi” – o più confortevoli, o dotate di sistemi di contenzione invisibili – che questo potrà avvenire, ma tramite un deciso mutamento di quello stesso paradigma.

Un altro punto spinoso è il passaggio in cui Davis ritiene accettabile un femminismo “rampante”, fatto di donne che riescono a forzare la propria presenza nella scala gerarchica in posizioni di potere, suggerendo che un maggior numero di donne al potere porti inevitabilmente ad un miglioramento delle condizioni per tutte. 

Questo passaggio stupisce molto, perché anche qui pare impossibile che Davis non sia consapevole del fatto che la presenza di donne in posizioni di potere – quand’anche “femministe” o presunte tali – non assicuri assolutamente quel supposto “vantaggio per tutte”, perché non tiene conto delle questioni di classe. E anche in questo caso, come si possa arrivare a posizioni di potere mantenendo la propria radicalità ed integrità – ed avendo come obbiettivo ultimo il completo stravolgimento di un sistema di dominio – non è dato sapere.

A quarantacinque anni da quando, con la sua prima lezione all’UCLA, si attirò le ire del governatore Ronald Reagan, Angela Y. Davis è tornata ad insegnare al campus questo semestre, come docente nel dipartimento di studi di genere. Il suo intervento di giovedì alla Royce Hall, incentrato su femminismo e abolizione del carcere, riassume in parte ma non completamente tutti i punti salienti del suo lavoro – una lunga carriera accademica andata di pari passo con l’attivismo radicale. Il Presidente Nixon la definì una “pericolosa terrorista” quando venne accusata di omicidio e associazione a delinquere dopo la micidiale sparatoria in tribunale del 1970. Venne assolta, e da allora questa donna, nata nel periodo impossibile delle leggi Jim Crow (N.d.T.: leggi di segregazione razziale emanate tra il 1876 e il 1965 negli Stati Uniti) a Birmingham, Alabama, ha scritto, insegnato e tenuto conferenze in tutto il mondo. La sua iconica capigliatura Afro si è trasformata dagli anni ‘70; la sua intensità non è invece mutata.

Il Congresso sta lavorando alla riforma carceraria. Molti Stati hanno vietato la pena capitale. Tutto questo non è incoraggiante?

Sono schierata con il movimento per l’abolizione del carcere; questo non significa che io mi rifiuti di approvare le riforme. Esiste, ad esempio, una campagna molto importante per abolire l’isolamento, e questa è una riforma assolutamente necessaria. La differenza sta nel capire se le riforme contribuiscano a rendere la vita più vivibile per le persone in carcere, o se rinforzino ulteriormente il complesso carcerario-industriale stesso. Quindi non è una situazione da aut-aut.

Come dovrebbe essere un sistema carcerario giusto per te?

Difficile a dirsi. La maggior parte di noi, che facciamo parte del movimento abolizionista del 21° secolo, trae ispirazione dalla critica di W.E.B. Du Bois sull’abolizione della schiavitù – che non fu sufficiente il fatto di eliminare semplicemente le catene. Il vero obiettivo era quello di ricreare una società democratica, che consentisse l’inserimento degli ex schiavi. [L’abolizione delle prigioni] dovrebbe portare a costruire una nuova democrazia, fatta di diritti essenziali volti al sostentamento economico e alle cure sanitarie; a dare maggiore rilevanza all’educazione piuttosto che alla carcerazione; a creare nuove istituzioni in grado di rendere le carceri obsolete.

Pensi che le prigioni non saranno più necessarie un giorno?

E’ possibile, ma anche [se ciò non accadesse], possiamo passare a un diverso tipo di giustizia che non implichi un paradigma retributivo quando qualcuno fa qualcosa di terribile.

Guardi la commedia drammatica a tema carcerario “Orange is the new black”?

Non solo ho visto la serie, ma ho letto il libro [di Piper Kerman], nel quale c’è una analisi molto più profonda di quanto appaia nella serie; ma avendo esaminato il ruolo delle carceri femminili nella cultura visiva, soprattutto nei film, penso che [la serie] non sia male. Presenta molti aspetti che spesso non vengono mostrati nelle ​​rappresentazioni delle persone che vivono in tali circostanze oppressive. Come in “Dodici anni schiavo”, per esempio – una cosa che mi è mancata in quel film era un senso di gioia, di piacere, di umanità.

Questo semestre sei tornata all’UCLA, il campus da cui il governatore Ronald Reagan ti aveva licenziato.

Un’offerta che non potevo rifiutare. Le/Gli student* di oggi sono molto diversi dagli studenti del 1969, 1970. Sono molto più complessi, nel senso che pongono domande più complicate.

Se consideri il femminismo oggi, pensi che le donne si siano tirate indietro, tranne forse quando si tratta di “femminismo da consiglio d’amministrazione”?

E’ possibile parlare di più femminismi; non ci troviamo di fronte ad un fenomeno unitario. Ci sono quell* che credono che il femminismo riguardi la scalata della gerarchia per arrivare a posizioni di potere, e questo è accettabile, ma non è quello che il femminismo sa fare meglio. Se le donne in posizioni di precarietà riescono a migliorare il loro status, l’intera struttura ne beneficia.

Il tipo di femminismo con il quale mi identifico è un metodo di ricerca, ma anche di attivismo.

Stokely Carmichael scherzava sul fatto che la posizione delle donne nel movimento per i diritti civili denominato Student Nonviolent Coordinating Committee era “prona” (N.d.T. gioco di parole tra “prona” e “propensa”). Esiste l’uguaglianza a pieno titolo per le donne nella politica di oggi?

Forse non del tutto, ma abbiamo fatto molti progressi. Nel modo di pensare ai movimenti del passato, incoraggio le persone a guardare oltre alle figure maschili eroiche. Sebbene io stessa veneri Martin Luther King, non intendo consentire alla sua icona di cancellare i contributi della gente comune. Il boicottaggio dell’autobus di Montgomery nel 1955 fu un successo perché le donne nere, le lavoratrici domestiche, si sono rifiutate di prendere l’autobus. Se non l’avessero fatto, dove saremmo oggi?

Sostieni il controllo delle nascite e l’aborto libero, che viene denunciato in certi ambienti come genocida.

A volte [in] quelle che potrebbero sembrare affermazioni stravaganti, scopriamo esserci un fondo di verità. Mentre non sosterrei mai che i diritti relativi al controllo delle nascite o all’aborto costituiscano un genocidio, non posso dimenticare come la sterilizzazione sia stata imposta alle/i pover*, soprattutto alle persone di colore, e che una persona come Margaret Sanger ha sostenuto che questo [controllo delle nascite] ha rappresentato un privilegio per le donne ricche, ma un dovere per le donne povere.

Cosa ne pensi del primo presidente nero della nazione?

Esistono momenti dalle enormi possibilità, e quello delle elezioni è stato un momento simile. La gente di tutto il mondo si è sentita come se ci stessimo muovendo verso un nuovo mondo. Per quanto breve quel senso di euforia sia stato, non dobbiamo dimenticarlo. Questo ci permette di intuire quali possibilità potrebbero risiedere nel futuro. [Ma] troppe persone pongono esagerate aspirazioni in un singolo individuo, tanto da non riuscire – non siamo riuscit* – a meglio approfittare di quel momento. Le persone si sono recate alle urne e hanno detto, “Abbiamo fatto il nostro lavoro”, e hanno lasciato tutto sulle spalle di Obama.

La democrazia rappresenta l’intelaiatura su cui costruire un sistema politico?

Io credo profondamente nelle possibilità della democrazia, ma la democrazia ha bisogno di emanciparsi dal capitalismo. Finché abitiamo una democrazia capitalista non riusciremo a realizzare un futuro di uguaglianza razziale, di parità di genere, di uguaglianza economica.

Ti sei candidata per la vice presidenza nel Partito Comunista nel 1980 e nel 1984; c’entrava con la fede nel processo democratico?

Volevamo suggerire che esistono alternative. Nessuno credeva che fosse possibile vincere, ma gli anni ’80 [videro] l’ascesa della globalizzazione del capitale, del complesso carcerario-industriale, ed era importante fornire alcune analisi politiche alternative.

Cosa ne pensi del comunismo oggi?

Ho ancora un rapporto col comunismo, [ma] non ne faccio più parte attivamente. Ho lasciato il partito perché non lo sentivo aperto al tipo di democratizzazione di cui avevamo bisogno. Continuo a credere che il capitalismo sia il tipo più pericoloso di futuro che possiamo immaginare.

Perché il comunismo ha fallito in quel modo?

Questo argomento richiederebbe una lunga spiegazione. Poteva esistere la democrazia economica, che manca in Occidente, ma senza la democrazia politica e sociale, le cose semplicemente non funzionano. Non credo che dovremmo buttare via il bambino con l’acqua sporca; sarebbe importante analizzare ciò che realmente ha funzionato e cosa invece no.

Come la mancanza di libertà di parola?

Sì.

Il 2016 sarà il 50° anniversario del Black Panther Party; Un tempo ne facevi parte.

Il movimento per i diritti civili era focalizzato sull’integrazione, ma c’erano quelli che dicevano: “Non vogliamo affogare con la nave che affonda, quindi cerchiamo di trasformare la nave del tutto.” L’emergere del Black Panther Party ha segnato un momento di rottura, e siamo ancora a quel momento.

Il gruppo ha conosciuto due diversi tipi di attivismo: l’attivismo di base che ha contribuito a creare istituzioni che sono ancora attive – per esempio, il Dipartimento dell’Agricoltura ora gestisce programmi per la colazione gratuita. Dall’altro, un atteggiamento di difesa dalla polizia e di monitoraggio delle sue attività.

Se si guarda al programma in 10 punti del partito, ogni singolo punto è ancora rilevante o più rilevante di prima… 50 anni dopo. Il decimo punto include il controllo della tecnologia da parte della comunità. E’ stato molto preveggente. Si tratta di utilizzare le tecnologie piuttosto che permettere loro di utilizzarci.

Alcune persone probabilmente vedono ancora, in te, la giovane donna che approvava la violenza contro la polizia, la violenza dei movimenti politici.

E’ importante capire le differenze tra quel periodo e questo. Il nostro rapporto con le armi era molto diverso, in gran parte ruotava attorno all’autodifesa. Oggi, quando esistono circa 300 milioni di armi da fuoco nel paese, e abbiamo vissuto queste sparatorie orrende, non possiamo avere la stessa idea. Sono totalmente a favore del controllo delle armi, e credo vadano disarmati non solo i civili ma anche la polizia.

Pistole di tua proprietà vennero usate nel sequestro con sparatoria al Marin County Civic Center nel 1970. Sei stata assolta da tutte le accuse. Ho letto che aveva comprato le armi per l’autodifesa.

Sì, e ho spiegato che mio padre aveva delle pistole quando ero piccola; le nostre famiglie dovevano proteggersi dal Ku Klux Klan. Abbiamo leggi contro i crimini d’odio [ora]; Sono ambivalente verso di [loro] perché spesso finiscono per essere usate contro persone che erano in origine le vittime. La legislazione anti-linciaggio viene usata maggiormente contro i giovani neri e le cosiddette bande. Spesso gli strumenti contro il razzismo vengono utilizzati al servizio di un tipo di razzismo strutturale.

Il documentario “Free Angela and all political prisoners” dipinge come essenziale il tuo rapporto con George Jackson, l’attivista ucciso nella prigione di Soledad. Forse troppo?

Avrei posto l’accento altrove. Parlando con la regista [Shola Lynch], si comprende come stesse lavorando su generi convenzionali; lei immagina il film come un dramma politico, un thriller e una storia d’amore. Ciononostante, la ricerca da lei compiuta è abbastanza incredibile. Ha trovato materiale d’archivio che non avevo mai visto prima. Ha intervistato uno degli agenti dell’FBI che mi ha arrestato, e in quell’intervista, ho scoperto come mi hanno catturata. Sono impressionata dal modo in cui il film ha colpito le persone più giovani. Può aiutare le conversazioni intergenerazionali, che mi insegnano qualcosa e insegnano qualcosa alle/i giovan*.

Che ne è stato della scrittura radicale, personale e conflittuale degli anni ‘60 e ‘70?

Una domanda interessante. In molti modi eravamo sol*. Stavamo sperimentando. Sono stati esperimenti importanti perché senza muoversi in ambiti sconosciuti, non può esserci alcun cambiamento.

Immagino che la gente ti chieda: “Se non ti piace l’America, perché stai qui?”

Ho vissuto in altri posti, ma questa è casa mia, e mi sento impegnata a trasformare questo paese. Mi sento così da quando ero bambina. Mia madre era un’attivista e credeva nella possibilità di trasformare il mondo. Io ancora non ho rinunciato a questa idea.

Questa intervista è stata curata e tratta da una trascrizione.

 

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